Elio Minoia, classe 1951, nasce a Conversano in provincia di Bari, ed è da molti anni uno dei grandi interpreti del Negroamaro in Salento ed enologo, tra le altre, della cantina Valle dell’Asso di Galatina, una delle nostre nuove aziende partner.
Quando hai iniziato il rapporto con Valle dell’Asso?
Il 1 marzo 1994 e vengo assunto dall’azienda F.lli Vallone di Vincenzo e Luigi G. Vallone, anno in cui si stavano rinnovando i primi vigneti dell’azienda nata nel 1920. Nel ‘94 furono reimpiantati 13 ettari di Negroamaro e 2 ettari di Primitivo nella zona San Giovanni a Galatina. In totale l’azienda è di circa 70 ettari vitati.
Le prime vinificazioni fatte nello stabilimento di Galatina in via Guidano 18, erano a temperatura ambiente. Questo tipo di vinificazione non mi dava soddisfazione, senza considerare che i dati analitici dei primi due anni erano molto deludenti: il PH era troppo alto e ciò significava che il vino avrebbe avuto una bassa longevità. Il mio obbiettivo principale era quindi quello di trovare una modo per abbassarlo. La soluzione era quella di partire dal terreno e quindi iniziare con le coltivazioni organiche e con la coltivazione biologica migliorando la qualità organolettica dell’uva. Subito dopo introdussi il sistema di controllo della temperatura del mosto, che, insieme al miglioramento del PH, mi ha permesso di ottenere dei vini decisamente più longevi.
L’azienda nel ‘97 diventa Valle dell’Asso, perché i fratelli decidono di prendere due strade parallele e la cantina storica rimane a Luigi Vallone con cui continuo a lavorare.
Cosa significa per te la coltivazione biologica?
Il sistema di coltivazione biologico non significa solo usare prodotti naturali ma partire soprattutto dal terreno con concimazioni organiche che nel giro di 5 6 anni migliorano l’equilibrio del terreno e quindi della piante e delle sue difese immunitarie e di conseguenza la struttura dell’uva. Aumentando le difese, anche rame e zolfo vengono utilizzati in maniera ridotta per prevenire l’oidio e la peronospora.
In quegli anni inizia anche un lavoro di ricerca e sperimentazione in collaborazione con il prof. Antonio Calò, direttore dell’Istituto Sperimentale di Conegliano Veneto, la scuola che io stesso avevo frequentato, che aveva avuto incarico di fare delle ricerche sul Negroamaro. Si scopre quindi una nuova varietà, il Negroamaro Cannellino che ha grappoli con acini spargoli, più piccoli e oblunghi e quindi più interessanti da punto di vista qualitativo e organolettico. In questa varietà, il rapporto tra buccia e polpa è a favore della buccia che è il deposito di tutti i tannini e i profumi.
Il biologico in azienda nasce anche dall’esigenza dovuta al fatto che i vigneti del Salento per 50 anni erano stati concimati con concimi chimici derivati dal petrolio e, considerando che la piovosità è abbastanza scarsa, tra i 400 e 600 mm di pioggia concentrati in autunno e primavera, i terreni si erano impoveriti dei microelementi e dei colloidi che hanno la funzione fondamentale di trattenere l’acqua quando piove e di cederla quando non piove. Da qui l’esigenza di fare il biologico e quindi utilizzare concimazioni organiche (letame ) che permette di riequilibrare il terreno e quindi migliorare la pianta e l’uva.
In combinazione con il sistema di coltivazione biologico, decido di praticare anche l’aridocoltura che letteralmente significa non irrigare, ma per me significa gestire al meglio la naturale umidità del terreno quando durante l’estate, con la temperatura che arriva facilmente a 30-35°, l’umidità sale dal basso verso l’altro per capillarità. Se si interrompono questi capillari con una sarchiatura (è una lavorazione del terreno che consiste nel taglio del suo strato superficiale) facciamo si che l’umidità rimanga in basso a favore della pianta impedendo l’evaporazione dell’acqua. Questo permette alla pianta di esplorare con le radici in profondità tutto il terreno a disposizione.
Se io dovessi irrigare, le piante concentrerebbero le radici del punto in cui si sta dando acqua, in zone molto superficiali. Con temperatura alte si creerebbe un microclima favorevole allo sviluppo di oidio e peronospora e quindi saremmo costretti a fare ulteriori interventi contro le crittograme.
Inoltre, se invece di usare rame e zolfo, utilizzassi i prodotti di sintesi, questi agirebbero come gli antibiotici negli esseri umani: se si adoperano spesso e male, c’è il rischio di assuefazione da parte della pianta e abbasserei le sue difese immunitarie, oltre a poter essere ritrovati nel prodotto finale.
C’è un vino a cui sei particolarmente affezionato?
Sono tutti figli miei e ognuno, nelle sue caratteristiche è il migliore per me. Ma se proprio devo scegliere, quello che mi ha dato più soddisfazione in questi anni è il Piromàfo, che racchiude in sé molte della caratteristiche che preferisco in un vino: freschezza, longevità, bevibilità, struttura e profumi. E più va avanti negli anni, più mi rendo conto che la strada impostata fin dall’inizio nel vigneto dà i risultati a lungo termine anche nella bottiglia.